mercoledì 12 marzo 2008
I MOSAICI DEL TELLARO
CRONACHE
Scoperti a 3 chilometri dall'antica città di Eloro, oggi comune di Noto, i mosaici del Tellaro tornano alla luce
di Eva Cantarella
Verranno presentati al pubblico per la prima volta nei prossimi giorni. Noi li abbiamo qui, dinanzi agli occhi, in assoluta anteprima: un regalo del Soprintendente ai beni culturali e ambientali della Provincia di Siracusa, Giuseppe Voza, al quale va non solo la nostra gratitudine per questo privilegio, ma quella di tutti per aver diretto i lavori di recupero e di restauro di questi capolavori. Parlo dei «mosaici del Tellaro», uno dei ritrovamenti archeologici più importanti degli ultimi decenni, che oltre a restituirci un inestimabile patrimonio artistico, forniscono informazioni di straordinaria importanza per la conoscenza dell’organizzazione sociale ed economica della Sicilia nel tardo Impero romano (III-IV secolo d.C.). I mosaici, infatti, sono stati rinvenuti a circa tre chilometri dall’antica città di Eloro (oggi contrada Caddeddi, del comune di Noto), sulla sponda destra del fiume Tellaro, ove adornavano i pavimenti di una villa, nella quale — grazie anche all’intervento decisivo dell’assessorato alla Cultura della Regione — verranno riposizionati nel mese di settembre, dopo una sosta nella chiesa sconsacrata di san Domenico a Noto, per la presentazione alla stampa.
I mosaici di Noto
Difficile, difficilissimo descrivere questi mosaici senza far torto alla loro bellezza, alla qualità della loro fattura, alla ricchezza della policromia e alla straordinaria sensazione di movimento delle immagini. Ma vediamo di darne quantomeno un’idea, a partire dalla scena che più colpisce per il soggetto: un unicum nelle rappresentazioni a mosaico sinora note, il riscatto del cadavere di Ettore.
Ulisse, il primo a sinistra guardando la scena, ha l’aria che ci si aspetta da lui, attento, guardingo. Ben diverso Achille, che gli sta a fianco indossando un elmo con alto cimiero, adorno di piume di pavone nitidamente tratteggiate. Quasi inevitabile pensare al cimiero indossato da Ettore, nella scena dell’addio ad Andromaca, sulle mura di Troia, e alla reazione del piccolo Astianatte, «atterrito all’aspetto del padre/ spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato/ che vedeva ondeggiare terribile, in cima all’elmo». Interessante, questa caratterizzazione dei personaggi attraverso il copricapo: Achille, il più bellicoso degli eroi, pronto per la guerra anche in un momento nel quale, sia pur controvoglia, accetta di compiere un gesto di pietà, restituendo il cadavere di Ettore. Ulisse invece, l’astuto per eccellenza, indossa un copricapo che (nonostante la forma stranamente arrotondata) sembrerebbe un pileo, il berretto dei navigatori e dei commercianti.
Ma continuiamo a scorrere le immagini, da sinistra a destra: Accanto ad Achille sta un altro eroe greco, Diomede. Dall’altro lato della scena, sulla destra di chi guarda, stanno i troiani. Solo una figura è visibile, o meglio, la parte alta di una figura: ma i troiani presenti erano molti, come dimostra la scritta «Troes». Purtroppo, è andata perduta la figura di Priamo, il vecchio re umiliato dall’arroganza del Pelide. Nel mezzo, una bilancia: su un piatto gli ori del riscatto offerti da Priamo, sull’altro il corpo di Ettore, di cui possiamo vedere solo i piedi, lunghi, lividi, stretti l’uno all’altro in un impressionante rigore di morte.
Impossibile, di fronte a queste immagini, non tornare con la mente al racconto omerico. La morte di Ettore non aveva placato la furia e il dolore di Achille per l’uccisione di Patroclo. Ogni notte, il Pelide piangeva l’amico perduto, e ogni mattina, al sorgere del sole, legava il cadavere di Ettore al suo carro e «intorno alla tomba del morto Patroclo lo trascinava tre volte/ poi riposava di nuovo nella sua tenda, e lasciava/ Ettore a faccia in giù nella polvere» (Il., 24, 16-17). Un comportamento inaccettabile, che impediva ai familiari di Ettore di rendergli gli onori funebri, senza i quali l’anima dei defunti non poteva trovar riposo nell’Ade, e che diminuiva l’onore che Ettore aveva conquistato, morendo eroicamente in battaglia. Implacabile, Achille, per ben dodici giorni, aveva continuato a oltraggiare il cadavere, sino al momento in cui era stato costretto ad arrendersi alle richieste della madre Teti: «Sia dunque così: Chi porta il riscatto, si riporti il cadavere» (Il., 24, 139).
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