giovedì 20 marzo 2008
L'ABBANDONO.
Abbandonare è un verbo concettualmente dicotomico cioè ha due significati che partendo da presupposti completamente diversi conducono alla stessa parola.
A)Abbandonare, abbandonarsi come atto di fede nei confronti di chi si ama e viene visto come il rifugio per eccellenza, il ventre materno, il luogo sicuro.
B)Oppure Abbandonare, essere abbandonato come estremo tradimento essercitato da chi o nei confronti di chi si vuol bene.
Essere abbandonati spegne la luce, mozza il respiro, fa senire vicini alla morte;come la vita che sta per abbandonarci, appunto.
E' urente il dolore e non ci sono oppiacei che tengano quando la testa scoppia perchè si è stati colpiti dal tradimento della persona amata che appunto ci ha lasciati, ci ha abbandonati.
E' troppo grande il senso di solitudine dopo l'abbandono; talvolta diventa un cammino irreversibile e solo un difficilissimo controllo delle emozioni può aiutare ad uscire dalla sabbie mobili dell'abbandono; la sola ragione non riuscirebbe mai a tirare a riva gli sfortunati naufraghi.
Spesso, chi supera la sindrome d'abbandono, diventa cinico e perverso; qualche volta, invece, dal superamento d quella difficile situazione nasce la strada maestra verso la Consapevolezza.
Dino
AUTOEUTANASIA
( Da TgCom del 19/03/2008 )
Chiese l'eutanasia: trovata morta
Francia.
Con il volto orribilmente sfigurato da un tumore, aveva chiesto invano alla giustizia francese di poter ricorrere all'eutanasia: mercoledì sera Chantal Sebire, 52 anni, è stata trovata morta nella sua abitazione a Parigi. Negli ultimi giorni la vicenda della donna aveva sollevato un nuovo dibattito sull'eutanasia in Francia, dove una legge del 2005 stabilisce il diritto di lasciarsi morire ma non quello all'eutanasia attiva.
Il decesso di Chantal Sebire è stato annunciato dal sito internet di un quotidiano parigino e confermato da fonti del governo francese. Le cause della morte "sono ancora da determinare".
Alla fine ordunque Chantal ce l'ha fatta; ha vinto lei contro uno Stato sempre in ritardo nel decidere il meglio per i suoi cittadini.
Questa volta desideriamo ricordarla col suo bel sorriso di una volta.
Adieu Chantal !
Dino
mercoledì 19 marzo 2008
TORRE DI BABELE 2011 O MONUMENTO ALLA CULTURA ?
Entro il 2011 Milano avrà il nuovo MAC, Museo d'Arte Contemporanea.
Il progetto è stato realizzato dall'Architetto Libeskind che è lo stesso che ha progettato e vinto il concorso per la ricostruzione del nuovo WTC di New York e sorgerà nell'area dell'ex Fiera.
A noi il progetto piace moltissimo e ci conferma come Milano sia davvero l'unica città italiana a vedere e a vedersi in proiezione internazionale.
Ai cinici e freddi assassini dell'aeroporto di Malpensa vanno perciò dedicati gli splendidi disegni che precedono queste semplici note.
Ad evitare stupide congetture vogliamo far presente che non siamo milanesi, ma italiani del profondo Sud, sia pure un Sud chiamato Catania, meglio nota come la...Milano del Sud.
Dino
martedì 18 marzo 2008
sabato 15 marzo 2008
IL VOLO DEL COLIBRI
Carissimi amici, desidero innanzitutto ringraziarvi per tutte le mail di solidarietà che ho ricevuto in queste ore. Grazie per tutta la vostra partecipazione e vicinanza. La vostra voce e il nostro grido di dolore è così arrivato fino alle orecchie del Ministro Pecoraro Scanio. In tarda serata ho ricevuto una telefonata: mi hanno eerogato un piccolo contributo nella speranza che sia sufficiente per tamponare la situazione almeno per 2 mesi ed evitare quindi l’imminente morte dei colibrì. I nostri debiti ammontano a 200.000 euro, solo per l’energia elettrica dovremmo versare 73.000 euro. Il ministero ha autorizzato l’erogazione di 40.000 euro, un piccolo ma indispensabile importo! Quando avrò i soldi in mano proporrò (supplicherò, sperando che accettino) immediatamente a tutti i fornitori dei servizi essenziali alla vita dei colibrì (energia elettrica, gas GPL, veterinari, case farmaceutiche per la preparazione dei nettari liofilizzati di fiore, ecc. ecc.) di congelare il debito vecchio e di accettare degli acconti a garanzia dei consumi per i prossimi mesi che verranno. In altre parole non potrò pagare i debiti vecchi perché 40.000 euro non sono sufficienti, però potrò garantire i pagamenti correnti e quindi la vita degli animali almeno fino a maggio. Spero che questa importante apertura del Ministero dell’Ambiente ci permetterà di trovare a breve quelle soluzioni definitive per i colibrì per poter presto uscire definitivamente da questa situazione di emergenza. Vi terrò aggiornati e spero che un giorno mi verrete a trovare così vi potrò conoscere personalmente qui nel Parco del Castello di Miramare a Trieste.
Stefano Rimoli
www.centrocolibri.com/
Questo è un appello a favore del Centro diretto da Stefano Rimoli destinato alla salvezza dei piccoli uccelli.
Mi corre l'obbligo di ringraziare il Ministro Alfonso Pecoraro Scanio per la sensibilità dimostrata in questa occasione.
A tutti i frequentatori di questo blog l'invito a visitare il sito e ad attivarsi per dare una mano di aiuto concreta che sommata a quella del Ministero possa permettere al Centro di sopravvivere e ai piccoli colibri di continuare a battere le loro ali al ritmo di sempre.
Grazie.
Dino
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Salviamo i nostri picccoli amici...
venerdì 14 marzo 2008
EUTANASIA: dei Diritti e dei Doveri
giovedì 13 marzo 2008
Lares Familiares...
Che ne pensate della tradizione che voleva, il giorno delle nozze, lo sposo prendere in braccio la sposa prima di farla entrare nella futura casa ?
Bella scenetta, vero?
Peccato non ce ne siano più di ometti così carini e così...robusti...
Ma da dove nasce quella tradizione ?
Tutti sanno che i Lari, nell'antica Roma, erano le divinità della casa, del focolare, della famiglia.
I Lari venivano raffigurati con statuette ( sigilli ) che venivano allocate in delle nicchie e che simboleggiavano appunto gli spiriti degli antenati, protettori della domus familias.
Lar in etrusco vuol dire "padre" e probabilmente la radice etrusca è proprio quella che poi ha formato la parola Lari.
La giovane sposa, per tradizione romana, andava a vivere nella casa dello sposo e perciò fino al giorno delle nozze era per i Lari una perfetta estranea; lo sposo non poteva permettere che la sposa varcasse la soglia di casa per la prima volta toccando il terreno con i suoi piedi; lo spirito degli Avi ne sarebbe stato offeso.
Ecco allora il gesto, più furbo che romantico, di prendere in braccio la sposa e farle attraversare la fatidica porta d'ingresso senza calpestare il suolo "protetto" dai Lari. Una volta dentro, la sposa era considerata a tutti gli effetti facente parte della famiglia e ne acquisiva diritti, doveri, obblighi e privilegi.
Care donne, ci siete rimaste male ? Pensavate solo all'aspetto romantico della vicenda ? Beh, coraggio; c'era anche quello. Qualche volta.
Dino
DALLE NEBBIE DI AVALON...
Il tepore era giusto quello della primavera e lassù, con la montagna che sembrava di poterla toccare con la mano, l'abbraccio con l'aria che andava riscaldandosi era molto più avvolgente che in città.
Gli alberi di pistacchio sembravano degli scheletri fossili, questa è l'annata di riposo, e solo fra qualche settimana rinnoveranno le foglie ma non i frutti.
In compenso i mandorli erano già in fiore e così i peschi d'altura.
Un profumato amplesso della natura con i suoi figli, incesto non peccaminoso, tripudio d'Amore.
Sono passato davanti al castello di Maniace ed ogni volta che lo faccio mi viene un gran voglia di andarci dentro per respirare l'atmosfera tardo cavalleresca cheil duca di Nelson seppe trasfondere tra questi crateri spenti dell'Etna portandoli via dalle nebbie di...Avalon.
All'ombra della grande croce celtica, nel cortile centrale di fronte all'ingresso, ogni volta par di incontrare un cavaliere, sir Lancillotto di Sicilia...mi pare...
Dino
mercoledì 12 marzo 2008
I MOSAICI DEL TELLARO
CRONACHE
Scoperti a 3 chilometri dall'antica città di Eloro, oggi comune di Noto, i mosaici del Tellaro tornano alla luce
di Eva Cantarella
Verranno presentati al pubblico per la prima volta nei prossimi giorni. Noi li abbiamo qui, dinanzi agli occhi, in assoluta anteprima: un regalo del Soprintendente ai beni culturali e ambientali della Provincia di Siracusa, Giuseppe Voza, al quale va non solo la nostra gratitudine per questo privilegio, ma quella di tutti per aver diretto i lavori di recupero e di restauro di questi capolavori. Parlo dei «mosaici del Tellaro», uno dei ritrovamenti archeologici più importanti degli ultimi decenni, che oltre a restituirci un inestimabile patrimonio artistico, forniscono informazioni di straordinaria importanza per la conoscenza dell’organizzazione sociale ed economica della Sicilia nel tardo Impero romano (III-IV secolo d.C.). I mosaici, infatti, sono stati rinvenuti a circa tre chilometri dall’antica città di Eloro (oggi contrada Caddeddi, del comune di Noto), sulla sponda destra del fiume Tellaro, ove adornavano i pavimenti di una villa, nella quale — grazie anche all’intervento decisivo dell’assessorato alla Cultura della Regione — verranno riposizionati nel mese di settembre, dopo una sosta nella chiesa sconsacrata di san Domenico a Noto, per la presentazione alla stampa.
I mosaici di Noto
Difficile, difficilissimo descrivere questi mosaici senza far torto alla loro bellezza, alla qualità della loro fattura, alla ricchezza della policromia e alla straordinaria sensazione di movimento delle immagini. Ma vediamo di darne quantomeno un’idea, a partire dalla scena che più colpisce per il soggetto: un unicum nelle rappresentazioni a mosaico sinora note, il riscatto del cadavere di Ettore.
Ulisse, il primo a sinistra guardando la scena, ha l’aria che ci si aspetta da lui, attento, guardingo. Ben diverso Achille, che gli sta a fianco indossando un elmo con alto cimiero, adorno di piume di pavone nitidamente tratteggiate. Quasi inevitabile pensare al cimiero indossato da Ettore, nella scena dell’addio ad Andromaca, sulle mura di Troia, e alla reazione del piccolo Astianatte, «atterrito all’aspetto del padre/ spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato/ che vedeva ondeggiare terribile, in cima all’elmo». Interessante, questa caratterizzazione dei personaggi attraverso il copricapo: Achille, il più bellicoso degli eroi, pronto per la guerra anche in un momento nel quale, sia pur controvoglia, accetta di compiere un gesto di pietà, restituendo il cadavere di Ettore. Ulisse invece, l’astuto per eccellenza, indossa un copricapo che (nonostante la forma stranamente arrotondata) sembrerebbe un pileo, il berretto dei navigatori e dei commercianti.
Ma continuiamo a scorrere le immagini, da sinistra a destra: Accanto ad Achille sta un altro eroe greco, Diomede. Dall’altro lato della scena, sulla destra di chi guarda, stanno i troiani. Solo una figura è visibile, o meglio, la parte alta di una figura: ma i troiani presenti erano molti, come dimostra la scritta «Troes». Purtroppo, è andata perduta la figura di Priamo, il vecchio re umiliato dall’arroganza del Pelide. Nel mezzo, una bilancia: su un piatto gli ori del riscatto offerti da Priamo, sull’altro il corpo di Ettore, di cui possiamo vedere solo i piedi, lunghi, lividi, stretti l’uno all’altro in un impressionante rigore di morte.
Impossibile, di fronte a queste immagini, non tornare con la mente al racconto omerico. La morte di Ettore non aveva placato la furia e il dolore di Achille per l’uccisione di Patroclo. Ogni notte, il Pelide piangeva l’amico perduto, e ogni mattina, al sorgere del sole, legava il cadavere di Ettore al suo carro e «intorno alla tomba del morto Patroclo lo trascinava tre volte/ poi riposava di nuovo nella sua tenda, e lasciava/ Ettore a faccia in giù nella polvere» (Il., 24, 16-17). Un comportamento inaccettabile, che impediva ai familiari di Ettore di rendergli gli onori funebri, senza i quali l’anima dei defunti non poteva trovar riposo nell’Ade, e che diminuiva l’onore che Ettore aveva conquistato, morendo eroicamente in battaglia. Implacabile, Achille, per ben dodici giorni, aveva continuato a oltraggiare il cadavere, sino al momento in cui era stato costretto ad arrendersi alle richieste della madre Teti: «Sia dunque così: Chi porta il riscatto, si riporti il cadavere» (Il., 24, 139).
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Il nostro passato è il nostro...futuro
mercoledì 5 marzo 2008
DIVERSI DA CHI ?
Essere autistici e non avere la facoltà della parola vuol dire essere malati ?
Una ragazza americana, Amanda Baggs, autistica ed incapace di parlare, attraverso una tastiera ed un dispositivo in grado di sintetizzare la voce ha spiegato che lei non è malata ed il suo modo di toccare, odorare, assaggiare e compiere movimenti e gesti apparentemente incomprensibili è il suo modo di relazionarsi col mondo esterno e quindi di comunicare.
Questo insieme di azioni non è nè meglio nè peggio rispetto al linguaggio tradizionale parlato; è solo diverso.
Questo caso, assieme a tanti altri, ha portato ad una rivisitazione del "fenomeno" autismo che oggi vede questo status non più come deficit neurologico ma come funzionamento alternativo del cervello umano.
Basterebbe del resto considerare come spesso i comportamenti ripetitivi e apparentemente privi di significato, le posture insolite e alcune manifestazioni denominate sindrome da "idiot savant" siano abbondantemente compensate da memoria eccezionale, capacità di calcolo sopra la media e molte altre abilità che spiegano senza meraviglia come gente come Einstein, Newton, il pianista Glenn Gould e altri possano essere stati portatori della sindrome di Asperger che è una variante dell'autismo.
Oggi la tendenza è quella di riconoscere nell'autismo una condizione alternativa a quella..."normale" arrivando alla conclusione che è inutile curarlo come secoli fa era inutile "curare" i mancini che usavano abilmente la sinistra al posto della destra.
Niente farmaci quindi ma piuttosto la Medicina dovrebbe aiutare a migliorare la qualità della vita degli autistici.
Considerare oggi gli autistici dei malati o dei ritardati può solo essere spiegato con l'ignoranza e con la mancanza di strumenti adeguati per misurare le loro capacità mentali.
Si può perciò liberamente parlare di "neurodiversità"per far ben capire la natura non-patologica della cosa e possiamo concordare con la Prof.ssa Temple Gradin, docente presso l'Università del Colorado, ed essa stessa autistica, che ha definito l'autismo una...semplice variante cognitiva della specie umana, un funzionamento mentale alternativo a quello abituale, insomma; per alcuni aspetti peggiore e per altri migliore.
Dino
lunedì 3 marzo 2008
IL CASTAGNO DEI CENTO CAVALLI.
Castagno dei Cento Cavalli (J.Houel, XVIII secolo). Il dipinto si trova all'Ermitage di San Pietroburgo.
IL CASTAGNO DEI CENTO CAVALLI.
L'albero si trova nel bosco di Carpineto, nel versante orientale del vulcano Etna, in un'area tutelata dal Parco Regionale dell'Etna.
Il castagno oggi
Diversi botanici concordano che avrebbe dai due ai quattro mila anni di vita e secondo il botanico torinese Bruno Peyronel è l'albero più antico d'Europa ed il più grande d'Italia
Le prime notizie storiche certe sul Castagno dei Cento Cavalli furono fornite dal De Amodeo, Carrera e da altri nel XVI secolo. Pietro Carrera ne «Il Mongibello» (1636), descrisse maestoso il tronco e l'albero «...capace di ospitare nel suo interno trenta cavalli». Successivamente ne parlerà anche Antonio Filoteo (1611).
Il 21 agosto 1745 venne emanato un primo atto dal «Tribunale dell'Ordine del Real Patrimonio di Sicilia» che tutelava istituzionalmente il Castagno dei Cento Cavalli ed il vicino Castagno Nave. Visto il periodo (fine del XVIII secolo) è un atto da annoverare fra i primati della tutela ambientale.
L'insigne naturalista catanese Giuseppe Recupero in «Storia naturale e generale dell'Etna» descriveva dettagliatamente l'albero, cercò di fornire diverse prove e dimostrazioni sulla unicità dalla pianta (allora era in discussione se fossero più alberi) e narrò che nell'anno 1766 trovò la casa molto deteriorata (esisteva una casa sotto le fronde del castagno, si può notare nel quadro di Jean Houel).
Sarà ritratto da molti viaggiatori del Grand Tour, fra questi Patrick Brydone e Jean Houel, che, nella sua opera Voyage de la Sicile, de Malta e Lipari, lo descriverà e ritrarrà nel 1787. Queste le parole con cui l'artista lo descrive in uno stralcio della sua opera:
..."La sua mole è tanto superiore a quella degli altri alberi, che mai si può esprimere la sensazione provata nel descriverlo. Mi feci inoltre, dai dotti del villaggio raccontare la storia di questo albero (che) si chiama dei cento cavalli in causa della vasta estensione della sua ombra. Mi dissero come la regina Giovanna I d'Aragona recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l'Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest'albero, il cui vasto fogliame bastò per riparare dalla pioggia questa regina e tutti i suoi cavalieri"...
domenica 2 marzo 2008
IL BAROCCO SICILIANO PATRIMONIO DELL'UMANITA'
La via del Barocco Siciliano parte da Acireale e subito trova a Catania uno dei suoi maggiori punti di massimo splendore. Nella città dell'Etna sono un numero grandissimo di palazzi, pubblici e privati,intere strade e bellissime piazze a dare forza a quella complessa forma di Arte architettonica.
La via siciliana punta poi decisamente verso il siracusano dove l'intera provincia è molto ricca di magnifiche costruzioni barocche fino ad arrivare all'altro punto cardine che è l'intera città di Noto e non soltanto i suoi singoli capolavori, uno più bello dell'altro.
La via, infine, corre e termina nel terzo centro nodale dello splendore barocco siciliano che fa capo alle chiese e ai palazzi di Ragusa, di Ibla, di Modica e di Scicli.
L'intera via del Barocco Siciliano è stata riconosciuta dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità.
Moltissimi i Tour Operatores che organizzano itinerari guidati attraverso l'intero percorso della Via siciliana del Barocco con offerte alla portata di tutti che prevedono tariffe aeree veramente convenienti e sistemazioni alberghiere a partire dal bed and Breakfast fino agli hotel di lusso o alle dimore di charme.
La Sicilia Barocca Vi aspetta.
Dino
sabato 1 marzo 2008
GLI ACCHIAPPASOGNI.
LA LEGGENDA DEL DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA DEI CHEYENNE
Molto tempo prima che arrivasse l’uomo bianco, in un villaggio cheyenne viveva una bambina il cui nome era Nuvola Fresca. Un giorno la piccola disse alla madre, Ultimo Sospiro della Sera:” quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi mangia finché non arrivi tu, leggera come il vento e lo cacci via. Ma non capisco cosa sia tutto questo”.
Con grande amore materno Ultimo Sospiro della Sera rassicurò la piccola dicendole: “le cose che vedi di notte si chiamano sogni e l’uccello nero che arriva è soltanto un’ombra che viene a salvarti” Nuvola fresca rispose: “ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le ombre bianche che sono buone”.
Allora la saggia madre, sapeva che in cuor suo sarebbe stato ingiusto chiudere la porta alla paura della sua bimba, inventò una rete tonda per pescare i sogni nel lago della notte, poi diede all’oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni, cioè quelli utili per la crescita spirituale della sua bambina, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ultimo Sospiro della Sera costruì tanti dream catcher e li appese sulle culle di tutti i piccoli del villaggio cheyenne. Man mano che i bambini crescevano abbellivano il loro acchiappasogni con oggetti a loro cari e il potere magico cresceva, cresceva, cresceva insieme a loro… Ogni cheyenne conserva il suo acchiappasogni per tutta la vita, come oggetto sacro portatore di forza e saggezza.
Ancora oggi, a secoli di distanza, ogni volta che nasce un bambino, gli Indiani costruiscono un dreamcatcher e lo collocano sopra la sua culla. Con un legno speciale, molto duttile, plasmano un cerchio, che rappresenta l'universo, e intrecciano al suo interno una rete simile alla tela del ragno. Alla ragnatela assegnano quindi il compito di catturare e trattenere tutti i sogni che il piccolo farà. Se si tratterà di sogni positivi, il dream catcher li affiderà al filo delle perline (le forze della natura) e li farà avverare. Se li giudicherà invece negativi, li consegnerà alle piume di un uccello e li farà portare via, lontano, disperdendoli nei cieli...
LA LEGGENDA DEL DREAMCATCHER SECONDO LA CULTURA LAKOTA
Nei tempi antichi un vecchio stregone si trovava sulla cima di un monte ed ebbe una visione. Iktome, grande maestro di saggezza, gli apparve sotto forma di ragno e gli parlò in una lingua sacra. Disse al vecchio lakota dei cicli della vita, di come iniziamo a vivere da bambini passando dall’infanzia all’età adulta, e alla fine diventiamo vecchi e qualcuno si prende cura di noi come se fossimo diventati un’altra volta bambini, così si completa il ciclo.
Mentre parlava, il ragno prese all’anziano un cerchio che aveva con lui, era un cerchio di salice al quale erano attaccate delle piume e delle crine di cavallo abbellite da perline. Prese il cerchio e iniziò a tessere una rete all’interno, mentre tesseva continuava a parlare e disse: “in ogni periodo della vita vi sono molte forze, alcune buone e altre cattive, se ascolterai le forze buone queste ti guideranno nella giusta direzione, ma se ascolterai quelle cattive andrai nella direzione sbagliata e questo potrebbe danneggiarti.
Mentre il ragno parlava continuava a tessere nel cerchio la sua tela, quando finì di parlare Iktome consegnò all’anziano il cerchio con la rete e disse: “la ragnatela è un cerchio perfetto con un buco nel centro, utilizzala per aiutare la tua gente a raggiungere i loro obiettivi, facendo buon uso delle idee, dei sogni e delle visioni. Se crederete in WAKAN TANKA, la rete tratterrà le vostre visioni buone, mentre quelle cattive se ne andranno attraverso il foro centrale”.
L’anziano stregone raccontò in seguito questa visione alla sua gente e da allora i Lakota ritengono l’acchiappasogni un oggetto sacro e lo appendono all’entrata dei loro tepee per filtrare i sogni e le visioni. Quelli buoni sono catturati nella rete e quelli maligni scivolano nel buco centrale e scompaiono per sempre.
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